venerdì 11 settembre 2015

Adios Kirchner, il Venerdì 11 settembre 2015


 DAL NOSTRO INVIATO
OMERO CIAI
                                                                                                                                  BUENOS AIRES
              C'è un modo facile facile per prendere il polso all'Argentina. Bisogna andare nelle "cuevas" (grotte) di Recoleta, il quartiere chic di Buenos Aires. Le cuevas sono i locali dove si comprano o si vendono i dollari al mercato nero. Dall'esterno "le grotte" sono irriconoscibili ma tutti sanno quali sono. Una porta di ferro senza insegne, un campanello anonimo, una sala d'aspetto molto affollata, tutti in piedi perché il via vai è rapido. Una delle eredità bastarde dell'epoca dei Kirchner - Nestor (morto nel 2010) e sua moglie Cristina - che s'accinge a finire dopo 12 anni, è proprio il controllo sugli acquisti di moneta Usa: c'è una quotazione ufficiale, calmierata e sorvegliata, del dollaro; e un'altra, sul mercato libero, illegale ma tollerato. La differenza tra le due, che oggi è superiore al 50%, dà un'idea puntuale dello stato delle finanze del Paese. Più aumentano debito e inflazione, più costa il dollaro. E gli argentini, che da sempre hanno zero fiducia nella loro moneta nazionale, il peso, trascorrono le giornate cambiando. Dal dollaro al peso e dal peso al dollaro, ovunque riescano a farlo. Quella sul valore ufficiale del dollaro è una delle tante frottole di una sceneggiatura, quella dell'Argentina felix, bella perché stoicamente autarchica e blindata contro la globalizzazione, che ha fatto da backstage alla lunga stagione del kirchnerismo,  l'ennesima reincarnazione del peronismo. La sera che siamo arrivati a Buenos Aires l'abbiamo trascorsa con Ismael Bermudez, un principe del giornalismo economico del "Clarin" e bestia nera della presidente, mentre i suoi colleghi, di tutti i giornali, gli rendevano omaggio con una cena. "Senza il lavoro di Ismael - era il leit motiv dell'ossequio - staremmo qui ancora a credere alle panzane dell'Indec (l'Istat argentino, controllato dal governo) su inflazione e povertà". Il giorno dopo è uscito il report dell'Uca, l'Università cattolica, istituzione indipendente e molto vicina a Papa Francesco, secondo cui negli ultimi anni il tasso di povertà è tornato a crescere e sfiora un terzo degli argentini, numero molto superiore rispetto a quel 4,7% ufficiale che si son bevuti i buontemponi della Fao premiando Cristina per le sue battaglie contro la fame mentre, in un festival di spropositi, il portavoce del governo sosteneva che "in Argentina ci sono meno poveri che in Germania".

Eppure Cristina Kirchner, 62 anni, presidente dal 2007 dopo il marito Nestor, è uno dei pochi leader argentini che lascia il potere con un indice d'approvazione positiva abbastanza alto, intorno al 40%. Una spiegazione, insieme a quella dei suoi discorsi sempre molto infuocati contro le banche e gli impreditori, è facile trovarla nella politica dei programmi sociali e dei sussidi. C'è quello per le famiglie numerose, quello per i giovani che non lavorano, quello per i pensionati poveri, quello per la salute dei bambini. Un fiume di denaro, 15 miliardi di euro quest'anno, il 15% del bilancio statale, che attraverso i "punteros", i delegati di zona peronisti che controllano anche i voti, plana sulle "villas miseria", le baraccopoli della sterminata provincia di Buenos Aires. Cristina ha programmi per tutto e, in questi mesi elettorali, mentre la Banca centrale inonda l'Argentina di denaro cash, ne rilancia uno a settimana. L'ultimo "plan" si chiama "Renovar" e consente alla classe media di cambiare il vecchio frigorifero e la vecchia lavatrice con un forte sconto che finanzia lo Stato, a rate senza interessi. Poi ci sono i sussidi, dai trasporti al riscaldamento, in un Paese dove la bolletta della luce è, letteralmente, grazie alle sovvenzioni statali, più economica di un caffé. Una politica difficile da sostenere a lungo, che gonfia sempre di più il deficit di bilancio ma che, insieme ai continui aumenti, dovuti all'inflazione, di stipendi e pensioni, garantisce a Cristina un ampio sostegno nelle classi popolari rinviando la disgrazia dell'indebitamento nazionale a chi le succederà.

Lungo il Rio de la Plata i tempi della politica sono svelti. Sette mesi fa, nelle settimane dell'indignazione per Alberto Nisman - il procuratore che accusava la Kirchner e il suo ministro degli esteri di aver stretto un patto diabolico con l'Iran sull'attentato all'Amia, il centro ebraico saltato in aria vent'anni fa - trovato morto nel suo appartamento, la presidente sembrava spacciata, quasi costretta a dimettersi prima della scadenza del mandato. E invece è risorta di nuovo come l'Ave fenix. La tragica fine di Nisman è ormai archiviata tra i grandi enigmi immortali e di lui non si ricordano più nemmeno all'Itamae di Puerto Madero, il ristorante sushi con i tavoli lungo il canale dove pranzava tutti i giorni.  Se il peronismo è ancora, tra sogni irredenti e deliri collettivi, soprattutto una mistica, un sentimento, bisogna ammettere che Cristina Kirchner, con tutta la sua proverbiale superbia, ne ha interpretato l'ennesima reinvenzione con grande astuzia, approfittando di un decennio di boom economico, quello post bancarotta del 2001, ormai estinto, per affermarne la vocazione più fortemente populista. Ha bloccato le importazioni, combattuto le multinazionali, nazionalizzato la compagnia di bandiera, espropriato l'holding petrolifera, cancellato il sistema privato delle pensioni e annientato l'opposizione con ogni mezzo, lecito e illecito. Una divertente definizione della ricetta Kirchner la dobbiamo a Fernando Gualdoni di El País: "E' un cocktail con tre parti di peronismo degli anni Settanta, due di socialismo bolivariano del XXI secolo, altre due di 'capitalismo per gli amici' e, infine, una spruzzatina di marxismo da bar sport". Che però alla fine non le è bastato per vincere l'unica campagna decisiva, quella che due anni fa le avrebbe permesso di riformare la Costituzione, abolendo il divieto a ricandidarsi per la terza volta consecutiva. "Ora  - dice cinico Jorge Lanata, famoso giornalista autore di un programma d'inchieste in tv dove tutte le domeniche si fustiga Cristina - le converrebbe perdere.  Con l'opposizione al potere, costretta a risanare i conti dello Stato tagliando sussidi e prebende, avrebbe la possibilità di tornare tra quattro anni come la salvatrice dei poveri d'Argentina". Perché se invece vincerà il suo attuale, ma niente affatto amato delfino, Daniel Scioli, avrà poi tutto il tempo per affermare il suo potere e lentamente Cristina scomparirà. "Il peronismo è un movimento verticale - ammonisce Lanata -, non c'è posto per due leader. E tutti quelli che oggi giurano fedeltà alla presidente, Scioli li metterà in riga".

Alla fine di ottobre, per le presidenziali, si affronteranno Daniel Scioli, Mauricio Macri e Sergio Massa. Il primo, che è anche il favorito, è il governatore peronista della provincia di Buenos Aires, dove vivono quasi il 40% di tutti gli elettori; il secondo è l'ex sindaco antiperonista della capitale; mentre il terzo incomodo, Massa, voltò le spalle a Cristina per rifondare, un'altra volta, il peronismo. I primi due sono oriundi, figli di genitori emigrati dall'Italia. E, comunque vada, tutto cambierà. Mentre conta i giorni che l'avvicinano al suo addio al potere, Cristina lotta contro i giudici che indagano sulle sue fortune materiali, un patrimonio personale che s'è gonfiato per decine di milioni negli anni della presidenza, e sogna l'eternità. Dopo aver intitolato in omaggio al marito Nestor, martire della rinascita nazionale, piazze, strade e uffici pubblici, eretto statue e mausolei, ha timbrato anche l'ultima opera di Stato: la trasformazione del vecchio edificio delle Poste, dietro la plaza de Mayo, nel nuovo e immenso "Centro culturale Kirchner", il Beaubourg di Buenos Aires. Intanto che lei s'allontana e sembra che l'Argentina danzi ancora una volta intorno al luogo del delitto, un altro crac del debito, non resta che citare lo scrittore spagnolo Manuel Vicent, che una volta ha detto: "La mia passione per l'Argentina è nata tanto tempo fa ma è rimasta sempre intatta perché continuo a non capire niente di questo Paese. Si ama quello che non si capisce".  

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